Intervista a Joshua Kalman

Joshua Kalman è nato nel 1947 da ebrei ungheresi sopravvissuti alla Shoah. Nel Dopoguerra la sua famiglia si è trasferita in Israele e ora lui vive da molti anni in Italia. È perciò il testimone e l’interprete migliore per tradurre Il gelataio Tirelli, che racconta la persecuzione nazista a Budapest e l’eroismo di questo anti-eroe italiano. Uno dei “Giusti tra le nazioni” la cui memoria viene conservata allo Yad Vashem di Gerusalemme, ma che – incredibilmente – non ha eredi, neppure alla lontana, interessati alla sua storia. L’attestato non è mai stato ritirato e le autorità israeliane hanno lanciato un appello perché qualcuno si faccia vivo. Appello che qui rilanciamo.

Signor Kalman, le vicende del gelataio Tirelli sono intrecciate alla storia intensa e drammatica della persecuzione degli ebrei in Ungheria durante la Seconda guerra mondiale, leggendo il libro, però, colpisce subito la grande tenerezza che traspare da alcuni particolari. Per esempio, sembra di sentire i sapori di certi cibi che vengono nominati.

K. Io non ho scritto il libro, mi sono limitato a tradurlo, ma è come se lo avessi scritto io. Mi sembrava proprio di sentire quei sapori, quei profumi della cucina ungherese e ungherese ebraica di quando ero bambino. È stato anche un modo di ricordare i miei che ormai non ci sono più. Leggendo e traducendo il libro mi tornavano in mente tante storie che sentivo a casa; anche se casa nostra non era una casa malinconica nonostante la Seconda Guerra mondiale fosse appena finita. Molte famiglie ebraiche hanno continuato a vivere nel ricordo orribile delle persecuzioni e ciò ha fatto sì che non uscissero mai più da quell’atmosfera cupa. A casa mia invece non si parlava più di tanto di quel periodo, nonostante mio padre avesse perso entrambi i genitori e la sorella, e mia madre avesse perso il padre a Dachau con altri due fratelli. Dai campi di sterminio è tornata mia nonna, da Auschwitz, e mio padre che era stato condannato ai lavori forzati dalle terribili croci frecciate, i filonazisti ungheresi.

Dopo aver tradotto il libro è tornato a Budapest?

K. No, anche perché il libro è stato tradotto da pochissimo tempo, ma ora ho intenzione di tornarci. Ieri ho incontrato l’ambasciatore ungherese a Roma e gli ho regalato il Gelataio Tirelli, che non conosceva, anche perché questo libro non è tradotto in ungherese ed esiste solo nell’originale ebraico, in inglese e ora in italiano. Gliel’ho regalato perché ha una bambina di sette anni che vive a Budapest. E a maggio andrò in Ungheria con lui.

Primo Levi diceva che chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Questo libro aiuterà la conoscenza e la consapevolezza dei più giovani?

K. Ha la capacità di raccontare un episodio vero della storia senza essere predicatorio, in un modo che tutti possano capire, anche i bambini. Io non conoscevo questa storia, ma ne conoscevo una simile, quella del console svedese a Budapest Raul Wallemberg, che ha organizzato ben trentuno case sicure da cui ha fatto scappare più di trentamila ebrei, facendo in grande ciò che ha fatto Tirelli in piccolo. Ma è importante che ciascuno faccia quello che può. Non a caso il Talmud dice che chiunque salvi un’anima è come se salvasse il mondo intero. E, del resto, la storia di Wallemberg ha anche un ulteriore punto di contatto con quella di Tirelli, perché oltre a essere stati dichiarati entrambi “Giusti tra le nazioni” dal museo dello Yad Vashem di Gerusalemme, di nessuno dei due si conosce il destino dopo la guerra.